Leggete il bel racconto autobiografico di Franco Bomprezzi). Questa volta non scriverò io (ne avevo già parlato qui), lascerò, com’è giusto che sia in un blog, la parola ad Ann, una mamma coraggio e alla sua lettera.
«…Il post (quello su Quasi amici) arriva a puntino: proprio stamane l’insegnante di sostegno di
mio figlio si è lamentata del fatto che se una compagna di classe passa
vicino alla carrozzina, il mio ragazzo l’afferra per il braccio, non la
lascia andare etc etc. «La pulsione sessuale è terribile» mi dice come
se fossi un’anima bella che non si è accorta che il figlio è cresciuto.
Ovviamente le ho risposto in modo brutale sconcertandola. Avrà fatto
pure il suo addestramento come sostegno con allegato corso di
“psicologia del disabile” in 12 lezioni ma… non può comprendere proprio
tutto perché non lo vive.
«Una madre della mia sottotribù invece
mi ha insegnato parecchio. Lo scorso settembre mi ha telefonato alle
due di notte chiedendomi di andarla a prendere in una certa via e di
portare la macchina grande con il mio tagliando perché era con suo
figlio e la carrozzina. Quando arrivo sul luogo li trovo per strada con
due tutori dell’ordine imbarazzatissimi e rossi come peperoni. Carico in
macchina figlio, carrozzina e madre e andiamo in un locale del centro
ancora aperto dove mi racconta quello che le è successo.
Il figlio è maggiorenne, lei è divorziata e il padre si è rifatto
una famiglia completa di due figli sani ancora pargoli. Così è toccato a
lei provvedere (alla sessualità del figlio ndr) perché la nuova moglie…
non gradisce. Indagini lunghe e discrete presso colleghi e amici per
trovare una “casa” con una tenutaria e ragazza disponibili, ovviamente a
prezzo maggiorato, ad accogliere un disabile. Per un po’ va bene e il
ragazzo è felice e la ragazza è “fissa”.
Purtroppo quella sera arriva una incursione. Lei è seduta vicino
all’entrata con un libro di matematica (è insegnante), i suoi bravi
capelli brizzolati e la figura pesante dei suoi anni. Sconcerto dei
tutori dell’ordine neanche avessero visto un gatto in un canile. Poi una
delle tutrici dell’ordine arriva trafelata “c’è di là un ragazzo che
chiede della mamma”. La mia amica si alza e dice “mbeh penso che dovrei
vestirlo se c’è qualcuno che mi aiuta”. Panico tra i custodi della
legge. Alla fine permettono alla “ragazza fissa” di aiutare la madre.
Poi bisogna portare tutti, clienti e ragazze, in centrale dove
verranno identificati mentre la tenutaria viene arrestata. Sono pronti
due furgoni di sotto. La mia amica propone di seguirli con il figlio con
la propria macchina ma i tutori rifiutano. Allora come far salire il
ragazzo, ormai molto agitato, sul furgone? Altro panico e intanto la
maitresse blatera che lei fa un buon servizio sociale e che aiuta i
bisognosi, vedete c’è pure il povero disabile etc. Alla fine due forzuti
tutori scaraventano ragazzo e carrozzina sul furgone delle ragazze che
lo accolgono con boati, urla e risate.
In Centrale arriva subito il magistrato che messo al corrente
della particolarità non sa che pesci pigliare. E qui la mia amica mi
racconta un colloquio surreale:
– dove è suo marito? Io non ho marito, mi ha lasciato, pochi disabili hanno il padre.
– ma lei non ha un fratello o un amico per queste cose? No sono
figlia unica e questa faccenda non si delega agli amici. Il resto lo
tralascio e dico solo che non ho mai riso tanto in vita mia.
Si Simone c’è da ridere perché nella vita normale ci sono i
mariti e gli amici, che spariscono nella vita con un disabile. Perché
certi argomenti sono da uomini normali, ma le madri dei disabili a volte
devono comportarsi da uomini, che lo vogliano o no. E uomini stessi,
quelli che fanno le leggi, quelli che comandano, quelli che ci
abbandonano a noi donne e madri diverse, non lo capiscono.
Anche se c’è un danno cerebrale, i nostri figli crescono e gli
ormoni quelli sono. I danni cerebrali a volte provocano modifiche
fisiche significative (bava alla bocca, incapacità di camminare) ma la
voglia di affetto, di un abbraccio, di un rapporto c’è sempre. Però
nessuno dei normali si sofferma su questo problema: per tutti il
disabile è un “infelice” (come si diceva una volta) e non un essere
umano con i suoi sentimenti e i suoi bisogni. Forse si considera il
disabile un angioletto puro, a volte brutto da vedere (altro che i
puttini del Mantegna!) ma comunque un qualcosa amorfo e non un qualcuno.
Ho l’impressione, poi, che molta gente non si renda conto che i
nostri figli debbano farsi la barba come tutti e dobbiamo fargliela noi e
così per tante altre cose. Ho l’impressione, invece, che molta gente
pensi che quando i nostri figli sono in casa si fanno la barba da soli,
mangiano da soli e vanno in bagno da soli. E queste cose, elementari e
sgradevoli, raramente vengono fatte vedere per l’intero in un film,
mitico per tutti “il figlio della luna”.
E allora come invocare la società perfetta, come meravigliarsi
dello sconcerto e dell’imbarazzo di un normale quando nessuno gli
scaraventa la realtà sotto il naso. Una realtà elementare: un disabile
ha bisogno di tutto ma proprio di tutto, senza ipocrisie e senza
repulsione, e senza neppure “distinguo” tra padre e madre perché Madre
Natura non fa sconti anche quando fa un torto.
Più che invocare una società perfetta non sarebbe meglio spingere
tutti noi a una riflessione più concreta, meno moralistica, più
veritiera? E diciamolo “più naturale”! E infine, finale come in tutti i
film che si rispettino: la mia amica ha trovato un’altra “casa”, il
figlio sembra contento della “nuova ragazza”, non ha avuto conseguenze,
l’ex marito non ha saputo niente e il 14 febbraio ha ricevuto un
mazzetto di roselline. Perché spesso quello che si nega ad un disabile
si nega anche alla madre».
Ho una confessione da fare… anche i disabili fanno sesso. Eh eh l’ho messa sul ridere, ma la sessualità e la disabilità sono un tabù per la società (