La posizione assunta s’inserisce nel solco delle più recenti del medesimo Supremo Consesso Amministrativo, n. 1607/2011 e n. 5185/2011.
Passiamole brevemente in rassegna, perché a margine del fatto che ribadiscono concetti già noti, vi sono alcuni profili di interesse per alcuni Legislatori regionali, segnatamente quello lombardo e quello sardo.
In Cons. St., sez. III, 10 luglio 2012, sent. n. 4071, il Collegio ha dovuto confrontarsi con la legittimità, così ritenuta in primo grado dal TAR di Brescia, nella propria sentenza n. 936/2011, di alcune note del Comune di Brescia, concernenti la determinazione della quota a carico di una Persona per compartecipazione al costo del servizio fruito dalla di lui madre, ricoverata presso una RSA.
La controversia in esame si incentrava, infatti, sulla sussistenza o meno dell’obbligo di compartecipazione dei familiari al sostenimento delle spese per il ricovero definitivo del parente con disabilità; compartecipazione la cui misura l’appellato Comune di Brescia aveva, con proprio regolamento, deciso dovesse computarsi in base all’ISEE del parente o dei parenti anche non facenti parte del nucleo familiare anagrafico di provenienza del medesimo disabile, chiamati ad integrarne l’eventuale contributo in quanto soggetti civilmente obbligati agli alimenti e come tali appartenenti alla “rete familiare di sostegno”.
Alla luce delle classiche censure sempre proposte a sostegno dell’appello, ed in particolare la violazione, errata e falsa applicazione dell’art. 3 co. 2 ter e tabella 2 del 109/1998, ed ovviamente tenendo conto delle tesi comunali contrarie, il Collegio ha dapprima passato in rassegna le motivazioni addotte dal Giudice di prime cure nel proprio decisum.
Questi, in estrema sintesi, aveva ritenuto che il criterio della valutazione delle condizioni economiche mediante ISEE dovesse contemplare, nell’assenza di un dPCM attuativo dell’art. 3 co. 2-ter del Decreto legislativo n. 109/1998, mai emanato, potesse essere tradotto in scelte concrete delle Amministrazioni competenti in materia di interventi sociali sul territorio, le quali legittimamente potevano valutare la situazione economica tenuto conto del reddito dell’intero nucleo familiare interpretato in senso ampio, comprensivo di figli e loro coniugi.
Il Consiglio di Stato ha ritenuto che le argomentazioni e conclusioni del TAR, e del Comune appellante, non potevano essere condivise.
Ed è giunto a questa considerazione richiamando il proprio più recente orientamento giurisprudenziale, il quale se da un lato legittima la regolamentazione da parte degli Enti erogatori nel fissare i requisiti per accedere alle prestazioni o alle agevolazioni economiche anche in base al criterio dell’ISEE ed anche prevedendo la partecipazione dei soggetti civilmente obbligati, dal momento che “tale elemento non contrasta con alcuna disposizione statale e rientra nella riconosciuta possibilità di introdurre criteri differenziati e aggiuntivi di selezione dei destinatari degli interventi (artt. 1 e 3, d. lgs. n. 109/98)”, risultando addirittura “ragionevole valutare in modo diverso chi ha comunque una fonte di sostentamento, costituita dalla presenza di un obbligato agli alimenti, da chi tale fonte non ha”, ha stabilito, che deve considerarsi illegittimo un regolamento (come, nel caso in trattazione, il regolamento del Comune di Brescia) che non operi una distinzione tra la posizione dei disabili gravi o anziani non autosufficienti e quella degli altri Utenti, poiché lo stesso Decreto legislativo n. 109 del 1998 prevede per tali particolari situazioni l’utilizzo di un diverso parametro, basato sulla condizione economica del solo interessato.
Dunque, non può assumere rilevanza economica alcuna, al fine di determinare la quota compartecipativa, la presenza di soggetti tenuti agli alimenti e parenti vari, e ciò in base al chiaro disposto dell’art. 3 co. 2-ter del Decreto legislativo n. 109/1998 summenzionato.
È stata altresì disattesa la tesi che esclude l’immediata applicabilità della norma, in virtù della mancata emanazione di un apposito decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, nel rilievo che l’art. 3 co. 2-ter del Decreto legislativo n. 109/1998 ha introdotto un principio immediatamente applicabile: detta regola, a dire del Supremo Consesso, non incontra alcun ostacolo per la sua immediata applicabilità e il citato decreto, pur potendo introdurre innovative misure per favorire la permanenza dell’assistito presso il nucleo familiare di appartenenza, non potrebbe stabilire un principio diverso dalla valutazione della situazione del solo assistito stesso.
In conseguenza di ciò, ed è affermazione che dovrebbe far riflettere certi Legislatori regionali, “sia il legislatore regionale sia i regolamenti comunali devono attenersi a tale principio, idoneo a costituire uno dei livelli essenziali delle prestazioni da garantire in modo uniforme sull’intero territorio nazionale”.
Ritenuti illegittimi gli atti impugnati per la dedotta violazione del ripetuto Decreto legislativo n. 109 del 1998, ed in riforma della sentenza appellata, il Consiglio di Stato ha annullato gli atti regolamentari impugnati, nella parte in cui disponevano diversamente da quanto stabilito dell’art. 3 co. 2-ter del Decreto legislativo n. 109/1998.
In Cons. St., sez. III, 10 luglio 2012, sent. n. 4077, il Collegio ha dovuto confrontarsi con la legittimità, così ritenuta in primo grado dal TAR di Brescia, nella propria sentenza n. 933/2011, di alcune note del Comune di Chiari (BS), concernenti la determinazione della quota a carico di due parenti (sorella e madre) di persona ricoverata in una struttura residenziale per persone disabili.
La controversia in esame, anche in questo caso, si incentrava sulla sussistenza o meno dell’obbligo di compartecipazione dei familiari al sostenimento delle spese per il ricovero definitivo del parente con disabilità.
Sulla base dell’ISEE dei congiunti, il Comune di Chiari aveva concesso per gli anni dal 2005 al 2008 un certo contributo mensile, e ciò in quanto, a dire dell’Amministrazione comunale, sussisteva la “non univoca” lettura del Decreto legislativo n. 109/1998 “in ordine all’esclusione del nucleo di appartenenza alla compartecipazione delle spese (art. 433 c.c.), che non risulta né abrogato, né modificato tacitamente o espressamente”, precisando altresì che ogni altra differente regolamentazione avrebbe avuto “un impatto non indifferente sul bilancio comunale”, tale per cui “una risposta definitiva può passare solo con l’interlocuzione degli Organi di Governo dell’Ente che sono nel pieno dei loro poteri e non come nella fase attuale del Comune di Chiari legittimato ad agire solo per le circostanze previste dalla Legge”.
Ovvio che dette motivazioni, flebili sotto il profilo strettamente giuridico, non potevano trovare accoglimento in seno al Consiglio di Stato, che, sempre richiamando il proprio più recente orientamento, ha ritenuto illegittimo il sostanziale diniego opposto all’istanza dei parenti, relativo alla erogazione di contributo comunale.
Ponendo ancora una volta l’accento sul fatto che deve considerarsi economicamente, e giuridicamente, irrilevante la presenza di soggetti obbligati agli alimenti, ovvero altri parenti, in sede di determinazione della compartecipazione al costo delle categorie di Persone citate nel suindicato art. 3 co. 2-ter del Decreto legislativo n. 109/1998, la cui posizione deve ritenersi distinta rispetto a quella degli altri Utenti, e ribadendo che non è certamente sostenibile che detta disposizione possa ritenersi non immediatamente applicabile, regola cui sia il Legislatore regionale sia i Regolamenti comunali devono attenersi, il Consiglio di Stato ha ritenuto illegittimi, e quindi annullato, gli atti impugnati per la dedotta violazione del principio di evidenziazione della situazione economica del solo assistito, di cui al ripetuto art. 3 co. 2-ter del Decreto legislativo n. 109/1998.
Con la terza e ultima pronuncia, Cons. St., sez. III, 10 luglio 2012, sent. n. 4085, il Collegio ha dovuto confrontarsi con la legittimità, così ritenuta in primo grado dal TAR di Brescia, nella propria sentenza n. 938/2011, di una Deliberazione della Giunta del Comune di Rodengo Saiano (BS), di diniego della chiesta integrazione della retta per mancanza del requisito dell’indispensabilità del ricovero e di sola concessione di un contributo al fine di garantire un percorso assistenziale adeguato alle sue esigenze, possibilmente alternativo al ricovero in RSA (Centro diurno/Casa Albergo/Badante), con rivalutazione annuale, e in ogni caso dei provvedimenti con cui sono stati determinati i criteri di compartecipazione al costo del servizio residenziale fruito o comunque concernenti le modalità di partecipazione al costo dei servizi per disabili gravi ed anziani non autosufficienti.
Anche in questo caso, comunque, la controversia in esame si incentrava sulla sussistenza o meno dell’obbligo di compartecipazione dei familiari, rifiutata dall’appellato Comune ritenendosi insussistente il prescritto requisito dell’indispensabilità del ricovero.
Il Collegio ha ritenuto fondato l’appello e non accoglibile la tesi comunale, sempre richiamando il proprio più recente orientamento giurisprudenziale e la suindicata irrilevanza, si ribadisce, giuridica ed economica, dei “tenuti agli alimenti” e parenti vari.
Di sicuro interesse, nella pronuncia in parola, il fatto che il Collegio abbia affermato che la normativa in parola (l’art. 3 co. 2-ter del Decreto legislativo n. 109/1998), “non richiede la totale non autosufficienza del disabile o dell’anziano, tanto meno così soggettivamente valutata dall’ente erogatore, bensì la ricorrenza di “handicap permanente grave” o di “non autosufficienza fisica o psichica” nel soggetto ultra sessantacinquenne, accertate ai sensi dell’art. 4 della legge n. 104 del 1992”.
È ciò è tanto più vero nel caso in cui la sussistenza delle condizioni di cui all’art. 3 co. 3 della l. n. 104/1992 sia stata debitamente accertata nei modi di legge, ossia dalla commissione medico-legale competente.
In conseguenza di ciò, “Nessuna rilevanza ha, pertanto, la mancata concessione, allo stato, dell’indennità di accompagnamento in sede di riconoscimento dell’invalidità al 100%”.
Alcune considerazioni
Si conferma l’immediata applicabilità piena del disposto dell’art. 3 co. 2-ter del Decreto legislativo n. 109/1998, senza che possa essere in alcun modo opposta la mancata emanazione di un dPCM attuativo, (ormai) fantasiosamente vantata da alcuni (pochi) superficiali lettori della normativa e della giurisprudenza.Si conferma poi il fatto che sia il Legislatore regionale sia i Regolamenti comunali devono attenersi a tale principio, giacché concretante uno dei livelli essenziali delle prestazioni da garantire in modo uniforme sull’intero territorio nazionale (con buona pace del Fattore Famiglia Lombardo e sperimentazioni territoriali che, negli effetti, si rivelano essere deteriori per l’Utenza, rispetto all’applicazione del canone normativo corretto).
A ciò aggiungasi la rilevanza della valutazione di sussistenza della condizione di cui all’art. 3 co. 3 della l. n. 104/1992, a prescindere dal riconoscimento dell’invalidità, erroneamente ancorato, al fine dell’applicazione dell’art. 3 co. 2-ter del Decreto legislativo n. 109/1998 stesso, al 100% della persona richiedente.
Non c’è che dire, in attesa del nuovo ISEE, atteso davvero a breve (siamo quasi alla terza bozza, ma forse neppure ve ne sarà bisogno), cala il sipario sull’orientamento giurisprudenziale del TAR di Brescia, e su certe estemporanee fantasie regionali/locali.
10 luglio 2012
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