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sabato 8 settembre 2012

Invalidità civile: i nuovi "ricorsi"

Fino al 31 dicembre 2011 chi intendeva opporsi ad una decisione dell’INPS in materia di invalidità o di handicap presentava ricorso al Giudice, allegando memorie, documentazione sanitaria, perizie di parte. Il Giudice nominava un CTU, Consulente Tecnico dell’Ufficio, incaricato di stendere una relazione peritale che poi il Giudice acquisiva, assieme alle eventuali memorie, perizie, documentazioni della controparte. I tempi, spesso, erano molto lunghi arrivando ad alcuni anni prima della sentenza che giungeva dopo varie udienze.
La Corte dei Conti, nella sua annuale attitià ispettive nei confronti di INPS, ha rilevato che, alla fine del 2010, erano giacenti ben 362.642 cause relative all’invalidità civile. Una mole enorme. Ma la stessa Corte ha anche rilevato come l’INPS soccomba nel 57,7% dei casi (dati 2010).
Le nuove modalità di “ricorso” sembrano rispondere più a queste emergenze che alla volontà di semplificare i procedimenti o alleggerire la già sovraccarica giustizia civile.


Gennaio 2012

Dal primo gennaio 2012 cambiano dunque le regole. L’articolo 38 della Legge 111/2011, infatti, ha modificato il Codice di procedura civile, introducendo uno nuovo articolo specifico per queste situazioni: l’articolo 445 bis.
Questo articolo prevede l’accertamento tecnico preventivo obbligatorio per le controversie in materia di invalidità civile, cecità civile, sordità civile, handicap e disabilità, nonchè di pensione di inabilità e di assegno di invalidità (la cosiddetta invalidità pensionabile).
L’obiettivo è di risolvere il contenzioso in tempi più rapidi e senza sovraccaricare la giustizia civile di ripetute udienze. Ma l’intento è teoricamente positivo.
Il Cittadino che intenda opporsi ad una decisione (esempio più frequente: un verbale di invalidità) dell’INPS, non presenta più il ricorso introduttivo per il giudizio, ma presenta, sempre al Tribunale, l’istanza di accertamento tecnico per la verifica preventiva delle condizioni sanitarie che legittimano la pretesa fatta valere. Insomma non si va subito “in causa” ma si chiede una consulenza tecnica preventiva ai fini della conciliazione della lite. (L'accertamento tecnico preventivo esiste già nell'ordinamento italiano ma è stato introdotto per ben altre questioni che nulla hanno a che vedere con le condizioni sanitarie e con i diritti soggettivi).
L'espletamento dell’accertamento tecnico preventivo costituisce condizione di procedibilità. L’improcedibilità può essere eccepita dall’INPS o rilevata d’ufficio dal giudice, non oltre la prima udienza. Se il giudice rileva che l’accertamento tecnico preventivo non è stato espletato ovvero che è iniziato ma non si è concluso, assegna alle parti il termine di quindici giorni per la presentazione dell’istanza di accertamento tecnico oppure  di completamento dello stesso.

Il procedimento

Il Giudice, all’udienza di comparizione, nomina il consulente tecnico d’ufficio. Questi deve inviare – almeno 15 giorni prima dell’inizio delle operazioni peritali  anche per via telematica – una formale comunicazione al Direttore della sede provinciale INPS competente o a un suo delegato. Inoltre, alle operazioni peritali partecipa sempre di diritto il medico legale dell’INPS.
Con una recente circolare (30/12/2011 n. 168) l’INPS indica alle proprie sedi periferiche  l’importanza che l’Istituto si costituisca in giudizio entro il decimo giorno antecedente l’udienza e e che sia presente il proprio legale fin dalla prima udienza, affinché il medico dell’Istituto possa essere immediatamente informato della data di inizio delle operazioni peritali e parteciparvi.

La consulenza tecnica

Il consulente tecnico d’ufficio, deve trasmettere la bozza di relazione alle parti (INPS e Cittadino), nel termine stabilito dal giudice. Con la stessa ordinanza il giudice fissa il termine entro il quale le parti devono comunicare al consulente le proprie osservazioni sulla bozza di relazione e il termine, anteriore alla successiva udienza, entro il quale il consulente deve depositare in cancelleria la relazione, le osservazioni delle parti e una sintetica valutazione sulle stesse.
Terminate le operazioni di consulenza, il Giudice, con decreto comunicato alle parti (INPS e Cittadino), fissa un termine perentorio non superiore a trenta giorni, entro il quale le medesime devono dichiarare, con atto scritto depositato in cancelleria, se intendono contestare le conclusioni del consulente tecnico dell’ufficio.
In assenza di contestazione, il Giudice, entro trenta giorni, omologa con decreto l’accertamento del requisito sanitario presentato nella relazione del consulente.
Il decreto è inappellabile, cioè non si possono più presentare ricorsi. Il decreto, è notificato (non sono precisati i tempi) agli enti competenti, che provvedono, subordinatamente alla verifica di tutti gli ulteriori requisiti previsti dalla normativa vigente, al pagamento delle relative prestazioni, entro 120 giorni.
Al contrario, nei casi di mancato accordo, la parte che abbia dichiarato di contestare le conclusioni del consulente tecnico dell’ufficio deve depositare, presso lo stesso Giudice, entro il termine perentorio di trenta giorni dalla dichiarazione di dissenso, il ricorso introduttivo del giudizio, specificando, a pena di inammissibilità, i motivi della contestazione della relazione del consulente. Da quel momento può iniziare l’iter con le udienze, e la presentazione delle consulenze di parte.
La successiva sentenza è inappellabile: per le cause di invalidità c’è un solo grado di giudizio
Le nuove disposizioni dovrebbero entrare in vigore dal primo gennaio 2012 e riguarderanno anche i ricorsi presentati dopo quella data.

Cosa cambia e come

Le nuove disposizioni, come già detto, solo apparentemente possono sembrare più favorevoli al Cittadino.  Se è vero che potrebbero abbreviarsi i tempi di conclusione della controversia, è altrettanto evidente che INPS è in una posizione di forza nel “dibattimento”: deve obbligatoriamente partecipare alla attività di perizia del consulente tecnico nominato dal giudice.
L’anticipazione delle spese per la consulenza tecnica sono a carico di chi richiede l’accertamento tecnico preventivo, anche se è vero che il giudice potrebbe stabilire diversamente.
Il Cittadino deve comunque appoggiarsi ad un legale che lo assista e sia presente nella prima udienza.
Il Cittadino può ricorrere contro le decisioni del consulente tecnico di ufficio, ma devono essere ben circostanziate le contestazioni alla relazione del consulente. Si rischia inoltre, in particolare in caso di soccombenza, che l’azione sia considerata come “lite temeraria” con ciò che comporta in termini di pagamento delle spese.
Nel caso si ricorra, è necessario disporre di una valutazione di un perito di parte (con ciò che comporta in termini di spese).
Le sentenze che riguardano le invalidità civili non sono impugnabili: questo significa che per queste situazioni esiste un solo grado di giudizio (limitazione più unica che rara nell’ordinamento italiano).
Nella logica complessiva, il ruolo del consulente tecnico dell’ufficio diviene centrale e dirimente, il che – in via teorica – non è scorretto trattandosi di appurare uno status sanitario su cui il Giudice non ha stretta competenza professionale.
Ma ciò lascia aperti ed amplifica i notevoli problemi segnalati quotidianamente rispetto alle reali specifiche competenze delle migliaia di consulenti “a disposizione” dei Tribunali. Nessuna norma precisa, ad esempio, che il consulente deve essere un medico legale oppure un medico specialista nella patologia da esaminare. Conseguentemente non è infrequente incontrare casi in cui a svolgere l’attività di consulenza siano medici con specializzazioni molto lontane dalla patologia da esaminare (es. dermatologi, ginecologi, medici dello sport chiamati a valutare casi di distrofia, lesione spinale, morbo di Alzheimer...).
Vi sono degli aspetti, più o meno evidenti, di “conflitto di interessi”, mai sufficientemente accertati dai Giudici. Chi svolge o ha già svolto attività professionale per l’INPS è corretto che sia chiamato come consulente in una perizia che vede l’Istituto come parte in causa?
E infine, a proposito di tempi, lascia perplessi il limite di 120 giorni entro in quale l’ente dovrebbe provvedere al pagamento delle eventuali provvidenze: nell’era dell’informatica e della telematica, e visto il tipo di accertamenti davvero minimi da eseguire, quattro mesi di tempo sembrano davvero esagerati, visti soprattutto i dichiarati intenti semplificatori del Legislatore. È chiaro che quel limite è fissato anche in funzione degli interessi legali (altra spina nel fianco dell’INPS) che, in questo modo, decorrono dal centoventunesimo giorno e non dalla data del sentenza o della notifica del decreto.

I riferimenti

Legge 15 luglio 2011, n. 111, in particolare l’articolo 38
Circolare INPS 30 dicembre 2011, n. 168

Nuovo iter in sintesi

1. Si riceve un verbale di invalidità o di handicap o di disabilità che si intende contestare
2. Si presenta al Tribunale competente (quello di residenza) istanza di accertamento tecnico per la verifica preventiva delle condizioni sanitarie ( si anticipano le spese della perizia).
3. Il Giudice nomina un consulente tecnico (un medico) che provvede a stendere una relazione (perizia); alla sua attività di perizia è presente anche INPS;
4. Il consulente invia la bozza al cittadino e all’INPS e attende le osservazioni; quindi deposita la relazione definitiva presso il Giudice
5. Il giudice chiede formalmente a INPS e al cittadino se vi sono contestazioni. Se non ci sono, il giudice omologa la relazione del consulente con decreto che diventa inappellabile.
6. Se l’INPS o il cittadino intendono contestare la relazione del perito devono proporre il ricorso introduttivo del giudizio, specificando, i motivi della contestazione.
7. Si procede (con le relative udienze) nel processo vero e proprio fino all’emissione della sentenza definitiva. La sentenza è inappellabile.

19 gennaio 2012

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