Va subito detto che questo schema non è ancora norma e che l’iter passa ora per l’acquisizione del parere delle Commissioni parlamentari di Camera e Senato e di quello della Conferenza Stato-Regioni, per poi tornare in Consiglio dei Ministri ed essere sottoposto a deliberazione definitiva. Potrebbero essere necessari diversi mesi, anche se difficilmente il testo subirà modificazioni eclatanti.
La delega al Governo è stata fissata all’articolo 23 della Legge 183/2010, la stessa norma che all’articolo successivo ha già modificato la precedente disciplina in materia di permessi ai lavoratori che assistono familiari con grave disabilità (art. 33 della Legge 104/1992).
Con il nuovo Decreto, il Governo tenta di disciplinare in modo più stringente la concessione dei permessi (tre giorni al mese) e dei congedi biennali retribuiti, oltre ad intervenire sui congedi di maternità, sui congedi per terapie per gli invalidi e sulle aspettative per i dottorati di ricerca. Alcuni passaggi rappresentano dei chiarimenti applicativi, in alcuni casi già presenti nella prassi amministrativa, altri passaggi tendono a contenere abusi, altri ancora restringono la platea dei beneficiari di alcune forme di agevolazione lavorativa. Vediamoli con ordine.
Cumulabilità dei permessi lavorativi
L’articolo 6 del nuovo Decreto aggiunge un periodo e un comma all’articolo 33 della Legge 104/1992 che – come detto – è stato già modificato dalla recente Legge 183/2010.Sono affrontate due fattispecie tutt’altro che infrequenti. Il primo è il caso della cumulabilità dei permessi in capo allo stesso lavoratore per l’assistenza a più familiari con grave disabilità. Finora la fattispecie non era disciplinata dalla normativa: se n’era occupato il Consiglio di Stato nel lontano 1996 e alcune circolari amministrative di INPS e INPDAP nel corso degli anni.
Il Decreto ora fissa una regola: si possono cumulare i permessi solo a condizione che il “secondo” familiare da assistere sia il coniuge o un parente o affine entro il primo grado o entro il secondo grado qualora i genitori o il coniuge della persona con handicap in situazione di gravità abbiano compiuto i 65 anni di età oppure siano anch’essi affetti da patologie invalidanti o siano deceduti o mancanti. Non è mai ammessa la cumulabilità nel caso in cui anche il “secondo” familiare da assistere sia un parente o un affine di terzo grado, nemmeno nel caso in cui il coniuge o il genitore sia deceduti o mancanti o invalidi o ultra65enni. Per comprendere meglio: i parenti di terzo grado sono gli zii e i bisnonni.
I lavoratori per i quali cambia il trattamento sono:
-
quelli che assistono più parenti o affini tutti di terzo grado
(es.: zii propri o del coniuge; nipoti in quanto figli di fratelli) che
non avranno più diritto alla concessione del “secondo” permesso; per il
“primo” restano ferme le condizioni di assenza, età, invalidità del
coniuge/genitori della persona da assistere;
-
quelli che assistono parenti o affini tutti di secondo grado,
per i quali non sussistono le condizioni di assenza, età, invalidità
del coniuge/genitori della persona da assistere; in questo caso non
avranno più diritto alla concessione del “secondo” permesso, ma solo del
“primo”.
Nulla cambia per i lavoratori che assistono un familiare di secondo grado e uno di terzo il cui coniuge o genitore siano ultra65enni, invalidi, mancanti o deceduti. Infatti il Decreto non abroga la disposizione che consente la concessione del “primo” permesso anche per il terzo grado di affinità o parentela, nel caso in cui manchi (o sia invalido o deceduto) il coniuge o il genitore.
Chi cumula i permessi per l’assistenza della madre, del suocero e di un figlio potrà continuare a beneficiarne.
La nuova disposizione appare, quindi, meno efficace di quanto potrebbe sembrare.
Assistenza lontana dal domicilio
La Legge 183/2010 ha abrogato le condizioni di “continuità ed esclusività” fissate nel caso i permessi fossero richiesti per l’assistenza a parenti ed affini con i quali non vi sia convivenza.Come sottolineato su queste colonne, quella abrogazione consente la concessione dei permessi anche quando il familiare da assistere abiti a centinaia di chilometri di distanza.
Su questi casi, il nuovo Decreto fissa una regola dagli intenti antielusivi imponendo che il lavoratore che usufruisce dei permessi “per assistere persona in situazione di handicap grave, residente in comune situato a distanza stradale superiore a 150 Km rispetto a quello di residenza del lavoratore, attesta con titolo di viaggio, o altra documentazione idonea, il raggiungimento del luogo di residenza dell’assistito”.
Nella sostanza, bisognerà provare di essersi effettivamente recati – nei giorni di fruizione dei permessi – presso il domicilio del familiare da assistere.
Congedi per l’assistenza a figli minori
Il terzo articolo del nuovo Decreto (non ancora approvato) introduce una modificazione dell’articolo 33 del Decreto Legislativo 151/2001, precisando che la già prevista possibilità di fruire di tre anni di congedo retribuito sia utilizzabile fino al compimento dell’ottavo anno di età del bambino, se non ricoverato in istituto specializzato.Va detto che nel computo dei tre anni sono inclusi anche i congedi parentali concessi alla generalità dei genitori (fino ad 11 mesi totali se a fruirne sono entrambi) a prescindere dalla disabilità del figlio.
Inoltre si precisa che questo congedo – che può essere continuativo o frazionato – è relativo a ciascun figlio con disabilità, può essere fruito alternativamente da ciascun genitore, ma è incompatibile con la contemporanea fruizione dei permessi lavorativi (art. 33 della Legge 104/1992).
Resta in vigore l’opportunità (art. 42, comma 1, D. Lgs. 151/2001) di fruire, in alternativa al congedo, delle due ore di permesso giornaliere, ammessa tuttavia solo fino al terzo anno di età del bambino.
Congedi
L’articolo più stringente è il quarto ché rivede, in modo significativo, gli aventi diritto ai congedi biennali retribuiti previsti dall’articolo 42 del Decreto Legislativo 151/2001.Il nuovo Decreto non può che tenere in considerazione le tre sentenze di Corte Costituzionale che, negli anni, hanno ampliato la platea dei beneficiari (ai figli e al coniuge). Tuttavia il nuovo testo, pur confermando i beneficiari potenziali (coniuge, genitori, figli, fratelli e sorelle), fissa condizioni diverse di priorità nell’accesso ai congedi.
L’ordine di priorità è: coniuge, genitori, figli, fratelli e sorelle. Rimane ferma la condizione dell’assenza di ricovero.
Il primo beneficiario è, quindi, il coniuge convivente con la persona gravemente disabile.
In caso di mancanza, decesso o in presenza di patologie invalidanti del coniuge convivente, ha diritto a fruire del congedo il padre o la madre anche adottivi (anche se non conviventi con il figlio). Da far rilevare che, diversamente dalla disciplina sui permessi, in questi casi non viene previsto alcun limite di età di chi dovrebbe assistere il disabile.
In caso di decesso, mancanza o in presenza di patologie invalidanti del “padre e della madre” (nel testo è usata la formula congiuntiva “e”, non quella disgiuntiva “o”), anche adottivi, ha diritto a fruire del congedo uno dei figli conviventi.
Se anche i figli conviventi sono deceduti, mancanti o invalidi, il beneficio passa ai fratelli o alle sorelle conviventi.
Per quanto riguarda i genitori, il congedo può essere fruito anche quando uno dei due non sia un lavoratore, oppure sia un lavoratore autonomo (che quindi non può accedere a questi benefici). In tutti gli altri casi, questa eccezione non è ammessa. Quindi, nel caso in cui un disabile conviva con la moglie casalinga, il congedo non può essere concesso, ad esempio, al figlio convivente, a meno che la madre non sia essa stessa affetta da patologie invalidanti.
La nuova articolazione dell’articolo 42 del Decreto Legislativo 151/2001 afferma che anche il congedo, come già i permessi di cui all’art. 33, comma 3, della Legge 104/1992, non può essere riconosciuto a più di un lavoratore per l’assistenza alla stessa persona. Al contrario, per l’assistenza allo stesso figlio con handicap in situazione di gravità, i diritti sono riconosciuti ad entrambi i genitori, anche adottivi, che possono fruirne alternativamente, ma nello stesso periodo l’altro genitore non può fruire dei permessi ex art. 33 della Legge 104 né del congedo parentale di tre anni concesso fino all’ottavo anno di vita.
Da ultimo, non è chiaro se la nuova disciplina si applica solo alle future concessioni dei congedi o anche a quelli in essere da prima dell’entrata in vigore della norma. Questo, ovviamente, non è un problema di poco conto.
Congedi e retribuzione
I nuovo Decreto precisa che, durante il periodo di congedo, il lavoratore ha diritto a percepire un’indennità corrispondente all’ultima retribuzione, con riferimento alle voci fisse e continuative del trattamento. Il periodo medesimo è coperto da contribuzione figurativa. L’indennità e la contribuzione figurativa spettano fino a un importo complessivo massimo di euro 43.579,06 annui per il congedo di durata annuale, importo che viene rivalutato di anno in anno tenendo conto degli indicatori ISTAT.Congedi per cure
Il congedo per cure riservato ai lavoratori invalidi è un istituto piuttosto datato, essendo stato fissato originariamente da una norma del 1971.L’articolo 26 della Legge 118/1971 prevede che “ai lavoratori mutilati e invalidi civili cui sia stata riconosciuta una riduzione della capacità lavorativa inferiore ai 2/3, può essere concesso ogni anno un congedo straordinario per cure non superiore a trenta giorni, su loro richiesta e previa autorizzazione del medico provinciale”.
Successivamente il Decreto legislativo 509/1988 ha precisato che “il congedo per cure previsto all’art. 26 della legge 30 marzo 1971 n. 118, può essere concesso ai lavoratori mutilati ed invalidi ai quali sia stata riconosciuta una riduzione della attitudine lavorativa superiore al 50%, sempreché le cure siano connesse alla infermità invalidante riconosciuta”.
Il nuovo Decreto interviene su questo istituto dando valore di norma ad alcune tendenze già consolidate in giurisprudenza e dalla prassi amministrativa e chiarendo altri aspetti.
Durante il periodo di congedo, il dipendente ha diritto a percepire il trattamento calcolato secondo il regime economico delle assenze per malattia. Inoltre, il datore di lavoro non chiede l’accertamento mediante visita di controllo, ma il lavoratore è tenuto a documentare in maniera idonea le cure avvenute.
La necessità della cura, sempre correlata all’infermità invalidante riconosciuta, deve risultare espressamente dalla domanda del dipendente interessato, accompagnata dalla richiesta del medico convenzionato con il Servizio Sanitario Nazionale o appartenente ad una struttura sanitaria pubblica.
Per quanto riguarda il regime giuridico, si chiarisce che tale congedo non rientra nel periodo di comporto. È un aspetto importante: l’articolo 2118 del Codice Civile stabilisce che in caso di malattia il datore di lavoro ha diritto di recedere solo una volta che sia decorso il cosiddetto “periodo di comporto” individuato dai Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro. All’autonomia collettiva è demandata la possibilità di estendere quel periodo nelle particolari ipotesi di malattie lunghe, caratterizzate dalla necessità di cure post-operatorie, terapie salvavita e di una conseguente gestione flessibile dei tempi di lavoro.
La nuova indicazione riprende quanto già espresso nella Nota del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali del 5 dicembre 2006 (Prot. 25/I/0006893) che aveva già affermato che le assenze per congedi per cure non vanno computate nel periodo di comporto.
10 aprile 2011
Nessun commento:
Posta un commento