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venerdì 7 settembre 2012

Permessi e congedi: le circolari di INPS e Dipartimento Funzione Pubblica

Erano particolarmente attese le indicazioni operative sulla concreta applicazione delle novità introdotte dal Decreto 119 del 18 luglio 2011 che ha parzialmente riordinato la normativa in materia di congedi – parentali e straordinari - e permessi per l’assistenza a persone con disabilità grave.
Come già era accaduto all’indomani dell’entrata in vigore della Legge 183/2010, anche in questo caso INPS e Dipartimento Funzione Pubblica, anche coordinandosi con il Ministero del lavoro, hanno concordato i contenuti delle rispettive circolari, tentando di fornire indicazioni omogenee sia per gli assicurati INPS (in larga misura il settore privato) che per i dipendenti della Pubblica Amministrazione.
Ecco allora che vengono divulgate quasi contemporaneamente le due circolari: INPS, 6 marzo 2012, n. 32 e Dipartimento Funzione Pubblica, 3 febbraio 2012, n. 1 (registrata in data successiva). In larga misura le due circolari sono coincidenti nella sostanza, ma conservano alcune significative differenze che vediamo più sotto.

Le innovazioni normative

Meritano di essere ripercorse – come fanno, in premessa, ambedue le circolari - le principali innovazioni introdotte dal Decreto Legislativo 119/2011.
Prolungamento del congedo parentale (art. 33, Decreto Legislativo 26 marzo 2001, n. 151): il diritto al prolungamento del congedo parentale (entro il compimento dell’ottavo anno del bambino) spetta alla madre lavoratrice o, in alternativa, al padre lavoratore, per ogni minore disabile in situazione di gravità per un periodo massimo totale non superiore a tre anni. Tale prolungamento spetta anche se il bambino è ricoverato a tempo pieno presso istituti specializzati se i sanitari chiedono la presenza del genitore.
Permessi giornalieri: sono concessi anche prima dei tre anni di vita del bambino, in alternativa alle altre agevolazioni.
Beneficiari dei congedi retribuiti (biennali): viene ridefinita la platea dei beneficiari e imponendo un ordine di priorità tra gli stessi (coniuge, genitori, figli, fratelli e sorelle).
Referente unico: il congedo straordinario e i permessi lavorativi (art. 33, Legge 104/92) non possono essere riconosciuti a più di un lavoratore per l’assistenza alla stessa persona disabile.
Indennità per il congedo straordinario: va essere calcolata con riferimento alle voci fisse e continuative dell’ultima retribuzione e i periodi di congedo non rilevano ai fini della maturazione di ferie, tredicesima mensilità e trattamento di fine rapporto.
Assistenza a più familiari disabili: vengono ristrette le possibilità di cumulare i permessi giornalieri in capo allo stesso lavoratore.
Assistenza a parenti non conviventi: il lavoratore che usufruisca di permessi per assistere persona residente in un comune situato a distanza superiore a 150 Km rispetto a quello di residenza del lavoratore, deve attestare, con titolo di viaggio o altra documentazione idonea, il raggiungimento del luogo di residenza dell’assistito.
Su ognuno di questi punti insistono le due Circolari del Dipartimento Funzione Pubblica (DFP) e dell’INPS.

Prolungamento del congedo parentale

Il congedo parentale non va confuso con il congedo straordinario o con il congedo non retribuito per gravi motivi familiari.
Si tratta di una forma di agevolazione riservata ai genitori (anche adottivi) fino agli otto anni di età del bambino (o, nel caso degli adottivi, entro gli otto anni dall’ingresso nel nucleo del minore).
La norma sul congedo parentale (art. 32, D. Lgs. 151/2001) prevede che i genitori, entro appunto i primi otto anni di vita del bambino, possano complessivamente astenersi dal lavoro per 10 mesi.
Alla madre viene concesso un massimo di sei mesi di congedo, che decorre dalla fine del congedo di maternità. Al padre ne vengono concessi altrettanti, ma se fruisce di un periodo di congedo di almeno tre mesi, i mesi totali di congedo divengono sette, e la somma totale (con la madre) passa a undici mesi.
Qualora ci sia un solo genitore viene concesso un periodo continuativo o frazionato fino a dieci mesi.
Il congedo in questo caso è compensato con un’indennità pari al 30% della retribuzione fino a sei mesi (dei dieci o undici totali). Oltre i sei mesi, l’indennità viene corrisposta solo se l’interessato non supera determinati livelli reddituali personali.
Sin qui le disposizioni che riguardano la generalità dei lavoratori, a prescindere dalla condizione che il figlio sia o meno disabile grave.
In quest’ultimo caso però sono ammesse ulteriori agevolazioni che consistono nel prolungamento del congedo parentale.
Questo beneficio era già previsto dall’articolo 33 del Decreto Legislativo 151/2001 ma è stato oggetto di modifica e precisazione con il Decreto legislativo n. 119/2011 anche perchè la precedente disposizione era ambigua e aveva causato problemi interpretativi.
Era sorto il dilemma relativamente al prolungamento fino ai “tre anni”: la locuzione si riferiva all’età del bambino o alla durata del prolungamento del congedo? Il Decreto 119/2011 ha semplicemente chiarito che tre anni è la durata del prolungamento e che tale può essere fruito fino agli otto anni di vita del bambino.
Sul punto, entrambe le circolari (INPS e DPF) concordano nel riconoscere la possibilità, fruibile alternativamente dai genitori del disabile, di beneficiare del prolungamento del congedo parentale per un periodo massimo, comprensivo dei periodi di normale congedo parentale, di tre anni da godere entro il compimento dell’ottavo anno di vita dello stesso.
Va rammentato che, in questi casi, per tutto il periodo, l’indennità economica è pari al 30% della retribuzione.
Il prolungamento del congedo parentale decorre a partire dalla conclusione del periodo di normale congedo parentale teoricamente fruibile dal genitore richiedente.
È bene precisare che “tre anni” è la somma totale dei congedi (ordinario e prolungamento) che possono essere fruiti dai genitori.
Infine è il caso di ricordare che il prolungamento del congedo parentale è concesso a condizione che il bambino “non sia ricoverato a tempo pieno presso istituti specializzati, salvo che in tal caso, sia richiesta dai sanitari la presenza del genitore” (art. 33, D.Lgs. 151/2001), condizione ed eccezione opportunamente ripresa dalla circolare n. 1 del DFP e dalla 32 dell’INPS. 

Le altre agevolazioni per i minori

Le due circolari, alla luce delle nuove disposizioni e di quelle già vigenti, riassumono quali siano, al momento, le agevolazioni per i genitori di bambini entro gli otto anni di età
Fino ai tre anni di età del bambino: i genitori, anche adottivi, hanno la possibilità di fruire, in alternativa, dei tre giorni di permesso, o delle ore di riposo giornaliere, o del prolungamento del congedo parentale.
Fino agli otto anni di età del bambino: i genitori, anche adottivi, possono beneficiare, in alternativa, dei tre giorni di permesso, ovvero del prolungamento del congedo parentale;
Dopo gli otto anni di età: i genitori, anche adottivi, possono fruire dei tre giorni di permesso mensile (art. 33, Legge 104/1992).

Il congedo straordinario retribuito.

Come noto le più rilevanti novità introdotte dal Decreto Legislativo 119/2011 riguardano i congedi straordinari retribuiti fruibili per l’assistenza di parenti con grave disabilità, in maniera frazionata o continuativa fino a due anni. Le modifiche principali riguardano l’individuazione degli “aventi diritto”, le modalità di fruizione e la corresponsione della relativa indennità. INPS e DFP forniscono le loro indicazioni applicative, non sempre sovrapponibili.
I congedi straordinari, dopo le diverse sentenze di Corte Costituzionale e le conseguenti modificazioni normative possono essere concessi, secondo una precisa priorità:
  • al coniuge convivente della persona disabile in situazione di gravità;
  • al padre o la madre, anche adottivi o affidatari, della persona disabile grave, in caso di mancanza, decesso o in presenza di patologie invalidanti del coniuge convivente;
  • ad uno dei figli conviventi della persona disabile grave, nel caso in cui il coniuge convivente ed entrambi i genitori del disabile siano mancanti, deceduti o affetti da patologie invalidanti. Il congedo viene concesso ai figli conviventi solo nel caso in cui tutti gli altri potenziali aventi diritto (coniuge convivente ed entrambi i genitori) siano mancanti o deceduti o affetti da , patologie invalidanti);
  • ad uno dei fratelli o sorelle conviventi nel caso in cui il coniuge convivente, entrambi i genitori ed i figli conviventi del disabile siano mancanti, deceduti o affetti da patologie invalidanti.
Sull’elencazione, ripresa dalla norma, INPS e DFP concordano.
Tuttavia il Dipartimento aggiunge anche una ulteriore sottolineatura: “si aggiunge che, poiché l’ordine dei soggetti possibili beneficiari è stato indicato direttamente ed espressamente dalla legge, la quale ha pure stabilito le condizioni in cui si può “scorrere” in favore del legittimato di ordine successivo, tale ordine non si ritiene derogabile. Pertanto, per l’individuazione dei legittimati non pare possibile accogliere dichiarazioni di rinuncia alla fruizione al fine di far ”scattare” la legittimazione del soggetto successivo, né dare rilievo a situazioni di fatto o di diritto che non siano state esplicitamente considerate nella norma (come, ad esempio, la circostanza che il coniuge convivente sia lavoratore autonomo o imprenditore).”
Concetti di “mancanza” e di “patologie invalidanti”
Su entrambi i concetti sia INPS (circolare 155/2010) che DFP (circolare 13/2010) si erano già espressi e pertanto ne richiamano i contenuti.
INPS e Dipartimento confermano, quindi, che l’espressione “mancanti”, va intesa “non solo come situazione di assenza naturale e giuridica (celibato o stato di figlio naturale non riconosciuto), ma deve ricomprendere anche ogni altra condizione ad essa giuridicamente assimilabile, continuativa e debitamente certificata dall’autorità giudiziaria o da altra pubblica autorità, quale: divorzio, separazione legale o abbandono, risultanti da documentazione dell’autorità giudiziaria o di altra pubblica autorità”.
Nella più recente circolare, INPS aggiunge che in tali ipotesi “il richiedente dovrà indicare gli elementi necessari per l’individuazione dei provvedimenti, ovvero produrre la dichiarazione sostitutiva di certificazione ai sensi dell’art. 46 del DPR n. 445/2000.”
In sostanza: la “mancanza” va dichiarata in modo circostanziato e sarà poi oggetto di verifiche. Le dichiarazioni false sono perseguibili penalmente.

Quanto alle patologie invalidanti si conferma che quelle da prendere a riferimento sono quelle indicate dall’articolo 2, comma 1, lettera d), numeri 1, 2 e 3 del Decreto Interministeriale n. 278 del 21 luglio 2000 che, lo ricordiamo, sono:
  • le patologie acute o croniche che determinano permanente riduzione o perdita dell’autonomia personale, ivi incluse le affezioni croniche di natura congenita, reumatica, neoplastica, infettiva, dismetabolica, post-traumatica, neurologica, neuromuscolare, psichiatrica, derivanti da dipendenze, a carattere evolutivo o soggette a riacutizzazioni periodiche;
  • le patologie acute o croniche che richiedono assistenza continuativa o frequenti monitoraggi clinici, ematochimici e strumentali;
  • le patologie acute o croniche che richiedono la partecipazione attiva del familiare nel trattamento sanitario.
Anche queste precisazioni erano già state oggetto di circolari precedenti.
Nella più recente circolare, INPS indica anche le modalità operative di presentazione della relativa documentazione sanitaria. Questa va inviata, in busta chiusa, all’Unità Operativa Complessa/Unità Operativa Semplice (UOC/UOS) territorialmente competente dell’INPS.
La documentazione ammessa può essere rilasciata da un medico specialista del servizio sanitario nazionale o con esso convenzionato o del medico di medicina generale (quello di famiglia) o della struttura sanitaria nel caso di ricovero o intervento chirurgico. L’unità operativa dell’INPS ne effettua la relativa valutazione medico legale.
Concetto di “convivenza”
I congedi straordinari sono concessi se è rispettato la condizione della convivenza (fanno eccezione i genitori che assistono i figli) e tale requisito è stato nel tempo più volte oggetto anche di risoluzioni del Ministero del lavoro.
Le due circolari di INPS e DFP confermano ulteriormente le precedenti indicazioni rendendole maggiormente stringenti.
Il requisito si intende soddisfatto quando sussiste la concomitanza della residenza anagrafica e della convivenza, ossia della coabitazione.
Il requisito della convivenza deve essere formalmente espresso dal lavoratore richiedente con dichiarazioni sostitutive che devono fornire elementi ed indicazioni utili alla verifica da parte di chi autorizza il congedo.
Come già precisato in precedenza dal Ministero del lavoro, INPS e DFP ammettono l’eccezione nel caso in cui la dimora abituale del lavoratore e della persona disabile, siano nello stesso stabile (appartamenti distinti nell'ambito dello stesso numero civico) ma non nello stesso interno. Sono, ad esempio, esclusi dall’eccezione i casi di lavoratori/disabili da assistere che vivano nello stesso stabile ma in due numeri civici adiacenti.
Le due circolari introducono anche una ulteriore eccezione: il requisito della convivenza è soddisfatto anche nei casi in cui sia attestata, mediante la dovuta dichiarazione sostitutiva, la dimora temporanea, ossia l’iscrizione nello schedario della popolazione temporanea previsto all’articolo 32 del DPR n. 223 del 1989 (cioè il cosiddetto “Regolamento anagrafico”).
Questo aspetto merita un approfondimento: l’iscrizione a quello schedario è riservata ai cittadini che essendo dimoranti in un dato comune da meno di 4 mesi, non possono richiedere la residenza. L’iscrizione avviene su domanda dell’interessato o d’ufficio qualora il comune venga a conoscenza della dimora nel proprio territorio. L’iscrizione nello schedario viene comunicata all’anagrafe del comune originario di residenza. Ciò che le circolari non precisano è che, secondo il terzo comma proprio dell’articolo citato, l’iscrizione a quello schedario esclude il rilascio di certificazioni anagrafiche. L’inghippo tuttavia non esclude la sottoscrizione una dichiarazione di responsabilità da parte dell’interessato anche se questo complica i controlli di verifica.
L’intera articolazione delle interpretazioni, tuttavia, lascia sorprendentemente aperta una possibilità di “elusione”, ma anche motivi di contenzioso, per i lavoratori che abbiano mantenuto la residenza presso la famiglia originaria pur avendo trasferito, di fatto, l’abituale dimora in altro comune o in altro stabile. Formalmente, in queste ipotesi, non è preclusa la concessione dei congedi, né dovuta l’applicazione delle più stringenti regole sulla concessione dei permessi giornalieri di cui diremo più sotto. Dagli stessi controlli risulterebbe comunque la medesima residenza e, quindi, la formale coabitazione.
Concetto di “referente unico”
Il principio del “referente unico” era già stato introdotto dall’articolo 24 della Legge n. 183/2010 a proposito dei permessi lavorativi (Legge 104/1992). Secondo quella disposizione i permessi non possono essere concessi a più di un lavoratore per l’assistenza alla medesima persona con disabilità. Operativamente questo significa che una volta autorizzata la fruizione del permesso, nessun altro lavoratore può farne richiesta e ottenerne la concessione, finchè il primo lavoratore non ne abbia cessato la fruizione e fornito le dovute comunicazioni.
Il Decreto 119/2011, introducendo il comma 5-bis all’ articoo 42 del Decreto legislativo n. 151/2001, estende anche al congedo straordinario il medesimo principio.
La limitazione riguarda tutti i beneficiari, esclusi i genitori che, al contrario possono fruire alternativamente dei permessi o dei congedi anche nello stesso mese, pur non negli stessi giorni.
Ambedue le circolari ripercorrono il dettato normativo e precisano alcuni dettagli operativi che potrebbero sfuggire ad una prima lettura delle nuove disposizioni.
Sia INPS che Dipartimento concordano sul fatto che il “referente” è unico non solo per i permessi, ma anche per i congedi straordinari. Nella sostanza, non può essere concesso il congedo ad un lavoratore se ne esiste un altro che già fruisca dei permessi e viceversa.
Non sono ammissibili, quindi, ipotesi in cui un familiare fruisca dei permessi e l’altro fruisca dei congedi (in maniera frazionata), nemmeno in mesi diversi.
Sia INPS che DFP prevedono una verifica sui permessi e sui congedi straordinari per i quali risultino agli atti più di un referente. In tali casi viene richiesto di indicare un unico referente.

Cumulo dei permessi e dei congedi

Permessi giornalieri (Legge 104/1992) e congedo straordinario (frazionato) possono essere cumulati nello stesso mese?
Fino all’entrata in vigore del Decreto 119/2011, permessi e congedo straordinario erano considerati due benefici con la medesima finalità per i quali il Legislatore non aveva previsto la possibilità di contemporanea fruizione, ammessa invece espressamente per i permessi (Legge 104) e congedo parentale ordinario o congedo per la malattia del figlio. Forti di questa considerazione INPS e Dipartimento Funzione Pubblica escludevano il cumulo dei permessi e dei congedi straordinari nell’arco dello stesso mese.
Il Decreto 119/2011, però, ha modificato il disposto dell'ex comma 5 dell'articolo 42 de Decreto 151/2001, prevedendo che “per l'assistenza allo stesso figlio con handicap in situazione di gravità, i diritti sono riconosciuti ad entrambi i genitori, anche adottivi, che possono fruirne alternativamente [del congedi straordinari, NdR], ma negli stessi giorni l'altro genitore non può fruire dei benefici di cui all'articolo 33, commi 2 e 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, e 33, comma 1, del presente decreto.”
Pertanto le interpretazioni che restringevano la cumulabilità alla stretta previsione normativa, non contano più su alcun fondamento.
Sia INPS che INPDAP prendono atto di questa compatibilità correggendo quindi le precedenti istruzioni impartite rispettivamente con circolare 155/2010 e circolare 13/2010, per quanto riguarda i genitori.
Correttamente sotto il profilo normativo, il Dipartimento Funzione Pubblica ammette, inoltre, espressamente che la cumulabilità di permessi e congedi è possibile anche per i lavoratori che assistano un parente di cui non siano genitori.
INPS, da parte sua, non sottolinea questo aspetto ma al contempo non esclude la possibilità che la cumulabilità di permessi e congedo (frazionato) siano ammissibili nello stesso mese anche per lavoratori che lavoratori che assistano un parente di cui non siano genitori.
La circolare 1 del DFP aggiunge anche un altro particolare rilevante per i dipendenti pubblici: confermando la tendenza interpretativa più recente, precisa che i tre giorni di permesso (Legge 104) spettano per intero, cioè non vanno riproporzionati, anche quando il lavoratore ha fruito nello stesso mese di una frazione di congedo o di ferie, aspettative o altre tipologie di permesso.

Ricovero, congedi e permessi

Le nuove disposizioni (art. 3, comma 1, lett. a e art. 4, comma 1, lett. b del decreto legislativo n. 119/2011) confermano che l’assenza di ricovero a tempo pieno della persona disabile è un presupposto essenziale per la concessione sia dei permessi (Legge 104/92) sia del congedo straordinario. Introducono però espressamente l’eccezione “salvo che, in tal caso, sia richiesta dai sanitari la presenza del soggetto che presta assistenza.”
Questa eccezione posta dal Legislatore, è conseguentemente valida per tutti i lavoratori dei comparti pubblico e privato.
Mentre il Dipartimento non fornisce indicazioni di sorta su tale aspetto, INPS, nella propria circolare n. 32 estende quanto già previsto nella propria precedente disposizione (circolare 155/2010) a proposito di permessi. Secondo INPS, pur in presenza di ricovero del disabile, il congedo può essere concesso nei seguenti casi:
  • interruzione del ricovero a tempo pieno per necessità del disabile in situazione di gravità di recarsi al di fuori della struttura che lo ospita per effettuare visite e terapie appositamente certificate (messaggio n. 14480 del 28 maggio 2010);
  • ricovero a tempo pieno di un disabile in stato vegetativo persistente e/o con prognosi infausta a breve termine (circolare n. 155 del 3 dicembre 2010, p.3).
Queste eccezioni si aggiungono a quanto espressamente previsto dal Legislatore e cioè il ricovero a tempo pieno di un disabile per il quale risulti documentato dai sanitari della struttura il bisogno di assistenza da parte di un genitore o di un familiare, ipotesi precedentemente prevista per i soli minori.

Durata e computo del congedo

Il Decreto 119/2011 ha modificato il comma 5-bis dell’art. 42 del decreto legislativo n. 151/2001 precisando che “il congedo fruito (…) non può superare la durata complessiva di due anni per ciascuna persona portatrice di handicap e nell’arco della vita lavorativa”.
Come sottolineano le circolari di INPS e del DFP, la nuova formulazione conferma le precedenti, pur meno chiare, indicazioni normative.
L’indicazione, infatti, comporta due effetti:
  • per ogni persona con disabilità sono ammessi solo due anni di congedo;
  • ciascun lavoratore non può fruire di più di anni di congedo, sia esso straordinario, e quindi retribuito, che “per gravi motivi familiari” e quindi non retribuito.
Ciò significa che, ad esempio, il lavoratore che abbia già fruito di 12 mesi di congedo non retribuito (art. 4, comma 2, della legge 8 marzo 2000, n. 53).non può fruire oltre i 12 mesi del congedo retribuito.

Il DFP introduce anche altre precisazioni. La prima riguarda l’ipotesi in cui la persona da assistere sia in possesso di un verbale di handicap grave “rivedibile”: il congedo non può essere concesso oltre il limite di scadenza del verbale e comunque decade nel caso in cui quella condizione non sia confermata dalle competenti Commissioni di accertamento e di verifica. Rimane fermo il principio, che vale anche per gli assicurati INPS, che le eventuali variazioni dei requisiti soggettivi (primo fra tutti, il riconoscimento di handicap grave) vanno tempestivamente comunicati a chi ha concesso i permessi o i congedi.
Il Dipartimento entra anche in un altro particolare aspetto che ha generato spesso coni d’ombra interpretativi e disparità applicative.
Ricordando che il congedo è fruibile anche in modo frazionato (a giorni interi, ma non ad ore), il DFP precisa che affinché non vengano computati nel periodo di congedo i giorni festivi, le domeniche e i sabati (nel caso di articolazione dell’orario su cinque giorni), è necessario che si verifichi l’effettiva ripresa del lavoro al termine del periodo di congedo richiesto.
Quelle giornate non vengono conteggiate nel caso in cui il congedo sia stato fruito dal lunedì al venerdì, se il lunedì successivo c’è riprese del lavoro oppure c’è un’assenza per malattia del dipendente o del figlio.
Pertanto, due differenti frazioni di congedo straordinario intervallate da un periodo di ferie o altro tipo di congedo, debbono comprendere ai fini del calcolo del numero di giorni di congedo straordinario anche i giorni festivi e i sabati (per l’articolazione su cinque giorni) cadenti subito prima o subito dopo le ferie o altri congedi o permessi.
Una annotazione, già assodata per INPS, che risulta nuova nell’ambito della funzione pubblica.

Retribuzione” dei congedi

Il Decreto 119/2011 ha disciplinato in modo diverso l’aspetto relativo alla “retribuzione” dei congedi straordinari.
Durante il congedo straordinario il lavoratore ha diritto a percepire un’indennità corrispondente all’ultima retribuzione. La novità negativa è che tale indennità è ora computata esclusivamente sulle voci fisse e continuative del trattamento. Sono, quindi, escluse dal computo dell’indennità le componenti variabili del trattamento accessorio (ad esempio alcune forme di premi incentivanti, o premi variabili legati alla produzione o alla presenza in servizio).
Questa nuova limitazione, ripresa sia da INPS che da DFP, può rappresentare una forte riduzione di retribuzione rispetto all’ordinario stipendio in cui sono incluse spesso significate voci variabili.
L’indennità prevede anche l’attribuzione della contribuzione figurativa (che ha un inquadramento diverso nel comparto privato rispetto a quello pubblico) utile al raggiungimento dell’età pensionabile.
Il tetto massimo complessivo dell’indennità per il congedo straordinario e del relativo accredito figurativo è rivalutato annualmente secondo gli indici Istat.
Infine, le circolari 32/2012 di INPS e 1/2012 del Dipartimento Funzione Pubblica, sottolineano l’altra precisazione introdotta dal Decreto Legislativo 119/2011 (art. 42, comma 5-quinquies, D. Lgs 151/2001): durante la fruizione il congedo straordinario non si maturano né ferie né tredicesima mensilità. Inoltre il congedo non concorre alla formazione del trattamento di fine rapporto.

Permessi per assistenza a più persone con disabilità

L’articolo 6 del Decreto legislativo n. 119/2011, come abbiamo già avuto modo di segnalare su queste colonne, restringe la platea dei destinatari dei permessi per l’assistenza nei confronti di più persone disabili in situazione di gravità.
Viene infatti aggiunto un nuovo periodo al comma 3 dell’articolo 33 della Legge 104/92: «Il dipendente ha diritto di prestare assistenza nei confronti di più persone in situazione di handicap grave, a condizione che si tratti del coniuge o di un parente o affine entro il primo grado oppure entro il secondo grado qualora i genitori o il coniuge della persona con handicap in situazione di gravità abbiano compiuto i 65 anni di età oppure siano anch'essi affetti da patologie invalidanti o siano deceduti o mancanti.».
Sia INPS che DFP concordano nell’affermare che “La norma va intesa nel senso che il cumulo di più permessi in capo allo stesso lavoratore è ammissibile solo a condizione che il familiare da assistere sia il coniuge o un parente o un affine entro il primo grado o entro il secondo grado qualora uno dei genitori o il coniuge della persona disabile in situazione di gravità abbiano compiuto i 65 anni o siano affetti da patologie invalidanti o siano deceduti o mancanti.”
Pertanto non è mai ammessa la cumulabilità nel caso in cui anche il “secondo” familiare da assistere sia un parente o un affine di terzo grado, nemmeno nel caso in cui il coniuge o il genitore siano deceduti o mancanti o invalidi o ultra65enni. Per comprendere meglio: i parenti di terzo grado sono gli zii e i bisnonni.
La lettura delle circolari dirime i dubbi applicativi sorti dopo l'approvazione del Decreto legislativo 119/2011. Vengono di fatto eliminate le ipotesi di elusione delle restrizioni alla cumulabilità dei permessi ed eventuali effetti distorsivi nell'applicazione combinata del Decreto 119/2011 e della Legge 183/2010. Nella sostanza se il "primo" permesso è stato concesso per l'assistenza ad un parente di terzo grado (in forza della Legge 183) e il "secondo" viene richiesto (Decreto 119) per un parente di primo grado, uno dei due non è concedibile.
I permessi “cumulativi” già concessi in precedenza saranno oggetto di verifica e di eventuali revoca (sia da parte di INPS che da parte della Pubblica amministrazione per i rispettivi dipendenti).

Assistenza a parenti residenti oltre i 150 chilometri

L’articolo 6 (comma 1, lettera b) del Decreto legislativo n. 119/2011 introduce l’obbligo per il dipendente che usufruisce dei permessi per assistere persona in situazione di handicap grave, residente in comune situato a distanza stradale superiore a 150 Km rispetto a quello della sua residenza, di “attestare con titolo di viaggio o altra documentazione idonea il raggiungimento del luogo di residenza dell’assistito”.
Le circolari attribuiscono al dipendente l’onere della prova dell’avvenuto spostamento dalla propria residenza a quella del parente da assistere nei giorni in cui ha fruito dei permessi.
La “presenza in loco” può essere agevolmente dimostrata con i biglietti dei mezzi di trasporto, o con le ricevute dei pedaggi autostradali. In caso non se ne disponga, si possono esibire la dichiarazione del medico o della struttura sanitaria presso cui la persona disabile è stata accompagnata, o biglietto del mezzo pubblico utilizzato per lo spostamento in loco.
Nel caso degli assicurati INPS, la documentazione deve essere esibita al datore di lavoro che ha il diritto/dovere di concedere i permessi nell’ambito del singolo rapporto lavorativo.
Nel caso dei dipendenti pubblici, l’adeguatezza della documentazione viene valutata dall’amministrazione di riferimento,
Sia secondo INPS che secondo il DFP, l’assenza non può essere giustificata a titolo di permesso ex lege 104/92 nell’ipotesi in cui il lavoratore non riesca a produrre al datore di lavoro l’idonea documentazione prevista.

13 marzo 2012

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