I ricorrenti non riuscendo ad ottenere quanto a loro spettante ricorsero alle vie giudiziarie.
Ma già in sede di prime cure il Collegio ha ritenuto il ricorso palesemente infondato, giacché le norme richiamate nel ricorso non attribuivano un diritto pieno ed incondizionato ad ottenere dall’ente locale le risorse necessarie, senza limite alcuno, alla realizzazione dei progetti funzionali alla realizzazione dell’obiettivo alla vita indipendente delle persone con gravi disabilità.
In particolare, l’art. 39 co. 2 lett. l-ter della Legge 5 febbraio 1992, n. 104, introdotto dall’art. 1 Legge 21 maggio 1998, n. 162, afferma che “Le regioni possono provvedere, sentite le rappresentanze degli enti locali e le principali organizzazioni del privato sociale presenti sul territorio, nei limiti delle proprie disponibilità di bilancio:… l-ter) a disciplinare, allo scopo di garantire il diritto ad una vita indipendente alle persone con disabilità permanente e grave limitazione dell’autonomia personale nello svolgimento di una o più funzioni essenziali della vita, non superabili mediante ausili tecnici, le modalità di realizzazione di programmi di aiuto alla persona, gestiti in forma indiretta, anche mediante piani personalizzati per i soggetti che ne facciano richiesta, con verifica delle prestazioni erogate e della loro efficacia”.
Ciò che aveva trovato applicazione nell’art. 4 co. 4 della Legge regionale della Lombardia 6 dicembre 1999, n. 23.
Evidentemente insoddisfatti della pronuncia, i ricorrenti alzarono il tiro, sollecitando il Supremo Consesso Amministrativo.
Questi, con la suindicata pronuncia, ha nuovamente respinto le richieste, considerando non fondata la pretesa di ottenere il contributo nella misura destinata a coprire, per intero, tutti i costi preventivati nel progetto di vita indipendente proposto dall’interessato.
Il richiamo alla compatibilità degli interventi, nel loro complesso, con le disponibilità di bilancio, ossia con i finanziamenti appostati per la copertura di tale tipologia di servizi, non contrasta, a detta del Collegio, con l’impianto e le finalità della Legge-quadro n. 104/1992.
Richiamata altresì la sentenza della Corte costituzionale 4 luglio 2008, n. 251, con cui è stato riconosciuto che il sistema di tutela delle persone disabili trova base costituzionale nella garanzia della dignità della persona e del fondamentale diritto alla salute degli interessati, ma che detto sistema è tuttavia connotato dalla concreta valutazione anche di altri interessi, tra i quali non possono escludersi quelli relativi agli oneri economici eventualmente derivanti, allo stato, dalla tutela prescelta, è stato ritenuto che il Legislatore, nell’adozione “delle misure necessarie a rendere effettiva la tutela delle persone disabili, alla stregua degli articoli 2, 3 e 32 della costituzione, ben possa graduare l’adozione delle stesse in vista dell’attuazione del principio di parità di trattamento, tenuto conto di tutti i valori costituzionali in gioco, fermo comunque il rispetto di un nucleo indefettibile di garanzie per gli interessati.”
Val la pena di evidenziare che la portata della decisione in parola è da ricondursi nei precisi limiti che, pressoché testualmente, il Giudice amministrativo indica: non si rinviene infatti che la limitazione alle risorse disponibili possa essere estesa a tutti gli interventi e i contributi a sostegno delle persone con gravi disabilità, giacché il riferimento è da un lato alle prestazioni collegate ai progetti per la vita indipendente, dall’altro fa comunque salvo il rispetto di un nucleo indefettibile di garanzie per gli interessati, i c.d. livelli essenziali di assistenza, già ampiamente individuato, in via pretoria, nelle numerose pronunce in tema di compartecipazione al costo.
Dall’inammissibilità del pagamento “a piè di lista” di certi servizi, non pare dunque potersi inferire un principio generale, applicabile sempre e comunque a tutti i servizi destinati alla grave disabilità e all’anzianità ultrasessantacinquenne non autosufficiente.
24 gennaio 2012
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